l’AI generativa penalizza i ruoli junior? la “seniority bias” che non avevamo previsto

Le aziende che adottano AI generativa riducono le assunzioni junior: ecco come la “seniority bias” rischia di erodere le basi del lavoro professionale.

Negli ultimi anni ci siamo abituati a discussioni sugli effetti dell’AI sul lavoro: automazione, sostituzione di mansioni, skills che mutano. Lo studio Generative AI as Seniority-Biased Technological Change (Harvard, 2025) muove lo sguardo su un aspetto più sottile — e inquietante: non quali ruoli spariranno, ma chi non entra più nel sistema. 

In breve: nelle imprese che adottano l’AI generativa, le assunzioni di figure junior calano drasticamente, mentre il numero di ruoli senior continua ad aumentare. È come se l’automazione avesse deciso di “scavalcare” il livello d’ingresso. 

Ma è davvero così netto — e cosa potremmo aspettarci in Europa, in Italia, nel tuo ambito finanziario?


lo studio di Harvard: metodo, evidenze, limiti

dati, definizioni e metodo

I ricercatori hanno raccolto dati su 62 milioni di lavoratori in 285.000 aziende statunitensi, racchiudendo il periodo 2015-2025. 

Per identificare le aziende che effettivamente stavano integrando generative AI, hanno cercato annunci di “GenAI integrator” — ruoli espliciti dedicati all’implementazione dei modelli AI nei processi aziendali. 

Poi, con tecniche tipo difference-in-differences e triple-difference, hanno monitorato come evolvessero le assunzioni interne per seniority (junior vs senior), confrontando imprese adottanti e non adottanti. 

i risultati chiave (e sorprendenti)

  • A partire dal primo trimestre del 2023, nelle aziende che adottano AI la quota di ruoli junior si è ridotta rapidamente rispetto alle altre. 
  • L’effetto non nasce da licenziamenti massicci: il dato suggerisce che le aziende semplicemente non aprono più (o aprono molto meno) posizioni d’ingresso. 
  • Le perdite maggiori si osservano in ruoli con alta esposizione all’automazione cognitiva: scrittura, revisione documenti, attività di supporto intellettuale. 
  • Effetto “a U” per il livello accademico: laureati dalle università del “centro medio” (né elite né istituzioni deboli) risultano i più penalizzati. 
  • Interessante: nelle aziende adottanti, le promozioni interne accelerano un po’ — ma non abbastanza da compensare la scomparsa dell’ingresso. 

limiti e cautela

Nessuna ricerca è perfetta. Qualche punto da tenere in mente:

  1. Causalità vs correlazione: le aziende che decidono di adottare AI potrebbero già essere diverse (dimensioni, cultura, crescita) da quelle che non lo fanno.
  2. Periodo limitato: l’analisi copre pochi trimestri post-adozione, quindi è troppo presto per misurare effetti di lungo periodo.
  3. Generale vs locale: è uno studio in USA, con un mercato del lavoro particolare (forte mobilità, normative flessibili). Trasporre i risultati all’Italia o all’Europa non è banale.
  4. Effetti non uniformi: non tutti i ruoli junior sono uguali: alcuni fanno parte del “core”, altri sono marginali. L’impatto potrebbe differire molto da settore a settore.

cosa significa per imprese, giovani e policy

per le aziende

Chi adotta AI in modo “meccanico” rischia di costruire una piramide rovesciata: tanti al vertice, pochi alla base. E chi formerà i futuri senior?

Se il processo di onboarding si spezza, le aziende perdono capacità di rigenerarsi.

Un approccio più saggio: usare l’AI per alleggerire i compiti ripetitivi, ma continuare a creare zone “formative”, dove i più giovani lavorano con supervisione, imparano contesti, relazioni, errori.

In più, le aziende con visione potrebbero (anzi, dovrebbero) sperimentare modelli di mentoring, rotazioni interne, microprogetti in affiancamento all’AI.

per i giovani professionisti

Per chi vuole entrare nel mondo del lavoro adesso, il messaggio è chiaro: non aspettare. Se l’ingresso sarà più difficile, serve costruire percorso in autonomia:

  • partecipare a progetti, freelance, hackathon (esperienza non “aziendale” ma concreta);
  • orientarsi verso ruoli difficili da automatizzare (relazioni, empatia, valutazione, gestione);
  • far crescere il “marchio personale”: reputazione digitale, portfolio, visibilità.

In sostanza: la “porta d’ingresso” potrebbe non essere più interna all’impresa, ma esterna, ibrida, frammentata.

per le politiche pubbliche e formazione

Se il sistema non reagisce, potremmo ritrovarci con problemi strutturali: generazioni che non trovano ruoli d’ingresso, più diseguaglianza, maggiore stagnazione salariale.

Occorre che lo Stato (o le autorità locali) pensino a incentivi per assunzioni junior, programmi di tirocinio che non siano pretestuosi, fondi per micro-esperienze formative sponsorizzate.

E, cosa fondamentale, monitorare i dati (pubblici e occupazionali) per misurare queste distorsioni emergenti.

In Europa, dove le normative sul lavoro e i contratti standard sono diversi da quelli USA, gli “shock” potrebbero essere più attenuati — ma proprio per questo serve attenzione preventiva.


nuove prospettive: bias, AI che assume AI, e tecnologie interne al reclutamento

Mentre Harvard guarda alla seniority, altre ricerche emergenti sottolineano altre insidie:

  • bias cumulativo seniorità + genere: modelli linguistici tendono a rappresentare le donne come “junior” più spesso dei colleghi maschili, amplificando stereotipi professionali. 
  • reclutamento algoritmico e preferenza per output propri: un articolo recente mostra che i sistemi di selezione tendono a favorire curriculum scritti con lo stesso modello AI che valuta — cioè l’AI premia le sue “gemme”. 
  • coerenza dell’identità professionale: nel software engineering, junior e senior interpretano l’AI in modo diverso: chi ha più esperienza è più protetto dall’ansia che l’AI “rub i mestiere”. 
  • classificazione automatica della seniority: modelli basati su LLM stanno già provando a leggere i curriculum e stimare il grado seniority (con margini d’errore…) — un ulteriore filtro che potrebbe essere compromesso da distorsioni. 

Questi elementi suggeriscono che il fenomeno della “seniority bias” non è un’anomalia isolata: potrebbe intrecciarsi con altri bias più sottili, che già operano nei sistemi AI e HR.


come anticipare – linee guida pratiche

Non lascio il lettore solo con l’allarme. Ecco cinque azioni concrete che imprese, istituzioni e professionisti possono valutare:

  1. mappe di esposizione interna: verificare quali ruoli junior usano compiti ripetitivi cognitivi e quanto questi possono essere automatizzati, ma non cancellati.
  2. “zone protette” formative: creare team ibridi junior-senior che lavorano su compiti non facilmente automatizzabili, affiancati all’AI.
  3. monitoraggio interno: tenere l’analisi delle assunzioni per seniority, per capire se la base del “funzionamento” aziendale si sta assottigliando.
  4. partnership esterne: coinvolgere enti formativi locali, università, incubatori, per far “arrivare” giovani che non passano da canali tradizionali.
  5. audit sui tool HR: testare se gli algoritmi di selezione o filtri basati su LLM siano neutri, o favoriscano candidati “AI-friendly”.

faq

L’AI farà sparire tutti i ruoli junior?

No, non tutti. Ma è probabile che molti compiti “classici” d’ingresso (revisione, supporto documentale, scrittura di bozze) diventino meno richiesti, e quindi le aziende ridurranno le assunzioni iniziali in quei ruoli.

Questo effetto vale anche per l’Italia/Europa?

Non sappiamo ancora. Le differenze normative, i sistemi di formazione, i contratti influiranno. Ma lo studio americano ci offre un segnale cui guardare con attenzione e che va monitorato localmente.

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