L’intelligenza artificiale è una montagna russa: perché conviene salire a bordo (anche se fa paura)

L’AI attraverserà bolle e crolli come internet negli anni ’90. Ma chi sa aspettare vedrà la vera rivoluzione: dal quantum computing alla medicina su misura.

C’è qualcosa di familiare nel modo in cui parliamo di intelligenza artificiale oggi. Lo stesso mix di euforia e terrore che accompagnava Internet nel 1999, quando ogni garage ospitava la prossima Amazon e ogni sogno aveva un business plan allegato. Poi arrivò il 2000, e con lui il grande silenzio: fallimenti a catena, capitali bruciati, l’improvvisa consapevolezza che forse non tutto ciò che luccica è un algoritmo d’oro.

Dhiraj Mukherjee, uno che di rivoluzioni tecnologiche se ne intende — ha co-fondato Shazam quando gli smartphone non esistevano nemmeno — non ha dubbi: «Sì, ci sarà un crollo. Forse anche devastante. E quando accadrà, tutti diranno: ve l’avevo detto». Ma poi aggiunge una cosa che dovremmo tatuarci sul polso: «Nel lungo periodo, però, la tecnologia continuerà ad evolversi. Vale la pena restare in corsa».

Quando la bolla esplode (e perché non importa)

I mercati finanziari hanno una caratteristica affascinante: si innamorano perdutamente di ogni novità tecnologica, la sopravvalutano, la gonfiano fino all’inverosimile, e poi — inevitabilmente — la fanno precipitare. È successo con le ferrovie nell’Ottocento, con la radio, con Internet, e succederà con l’AI. Non è pessimismo, è statistica.

Già oggi alcune Big Tech lanciano segnali d’allarme. Gli investimenti nell’intelligenza artificiale superano i 200 miliardi di dollari all’anno, ma quante aziende stanno davvero guadagnando? OpenAI brucia miliardi per mantenere ChatGPT online. Molte startup di AI generativa campano di finanziamenti, non di profitti. La musica prima o poi si ferma.

Ma — e qui sta il punto — questo non significa che l’AI sia una truffa o un fuoco di paglia. Significa solo che stiamo percorrendo lo stesso ciclo che ha attraversato ogni tecnologia dirompente. Internet ha avuto la sua bolla nel 2000, ma oggi non potremmo vivere senza. Le automobili hanno fatto fallire centinaia di produttori prima che Ford capisse come produrle in serie. L’elettricità ha impiegato decenni a diventare standard.

Il consolidamento è già scritto (ma non è la fine)

Negli anni ’90, se volevi cercare qualcosa su internet, avevi l’imbarazzo della scelta: AltaVista, Ask Jeeves, Lycos, Excite, Yahoo. Poi è arrivato Google e ha spazzato via tutto. Oggi, quando pensiamo a “motore di ricerca”, pensiamo a un solo nome.

Con l’AI succederà lo stesso. Ora abbiamo dozzine di modelli linguistici, decine di startup che promettono di rivoluzionare ogni settore. Tra cinque anni, forse meno, resteranno in piedi pochi giganti. Alcuni saranno i soliti noti — Microsoft, Google, Meta — altri emergeranno dalle ceneri di questa fase caotica.

Ma qui c’è un dettaglio che spesso sfugge: il consolidamento nei modelli di base non significa morte dell’innovazione. Anzi. Mentre i big si daranno battaglia sui modelli generalisti, si apriranno migliaia di nicchie verticali. AI per la diagnostica medica. AI per ottimizzare la logistica. AI per personalizzare l’educazione. Ogni settore dell’economia, dalla manifattura alla sanità, diventerà terreno fertile per nuove applicazioni.

La questione dei tempi (ovvero: perché gli europei hanno fretta)

Un problema tipicamente europeo: vogliamo risultati subito. Le aziende del vecchio continente investono in AI generativa, fanno progetti pilota di tre mesi, e se non vedono profitti immediati, abbandonano. È comprensibile — il mercato finanziario chiede rendimenti trimestrali — ma è esattamente il modo sbagliato di approcciare una rivoluzione tecnologica.

Le startup non ragionano in trimestri. Costruiscono prodotti pensati per durare cinque, dieci anni. Attirano talenti, creano culture aziendali che accettano il fallimento come parte del processo. «A volte si vince, a volte si impara», dice Mukherjee. Non è retorica motivazionale, è pragmatismo imprenditoriale.

Per i leader aziendali europei, questo richiede un cambio di mentalità. Non «cosa possiamo ottenere in tre mesi?», ma «cosa possiamo costruire nei prossimi anni?». Significa investire in competenze, sperimentare, accettare che alcuni progetti falliranno. Non è rassicurante, lo so. Ma è l’unico modo per giocare in questo campionato.

Il prossimo salto: quando i computer diventeranno davvero intelligenti

L’AI generativa ha dominato i titoli degli ultimi due anni. ChatGPT, Midjourney, Gemini — hanno catturato l’immaginazione collettiva. Ma Mukherjee, che ha investito in oltre 250 startup, guarda già oltre: il quantum computing.

No, non è fantascienza. Google ha recentemente annunciato progressi significativi con il suo chip Willow. IBM, Microsoft e startup come IonQ stanno facendo passi concreti. E quando il quantum computing raggiungerà la maturità — forse entro quest’anno, forse tra tre — cambierà tutto.

La crittografia attuale? Obsoleta. I sistemi di sicurezza che proteggono banche, governi, comunicazioni? Da ripensare completamente. Per questo si sta già lavorando sulla crittografia post-quantistica. Non per il futuro ipotetico, ma per prepararsi a un futuro imminente.

E poi c’è la medicina personalizzata. Gli smartwatch registrano il tuo battito cardiaco, il tuo sonno, i tuoi livelli di ossigeno. I sistemi sanitari accumulano dati da decenni. Ma finora questi dati sono rimasti in gran parte inutilizzati. L’AI può cambiarla questa situazione: non più cure standardizzate, ma terapie cucite addosso al tuo DNA, al tuo stile di vita, alla tua storia clinica.

Non si tratta solo di vivere più a lungo. Si tratta di vivere meglio, in salute, attivi. Di estendere non l’aspettativa di vita, ma gli anni in cui siamo davvero vivi.

Come si riconosce una vera rivoluzione

Forse la lezione più importante che emerge dalla storia di Shazam — un’app nata quando i telefoni avevano ancora l’antenna e Internet viaggiava su linee telefoniche — è questa: le vere rivoluzioni tecnologiche non sono mai lineari. Sono piene di false partenze, fallimenti spettacolari, pivot improvvisi.

Quando Mukherjee e i suoi soci fondarono Shazam nel 2000, il mondo non era pronto. Gli smartphone non esistevano. Le connessioni erano lentissime. Ci vollero anni prima che la tecnologia raggiungesse la visione. Ma quando accadde, cambiò il modo in cui ascoltiamo la musica.

L’AI sta percorrendo lo stesso sentiero. Siamo nella fase caotica, dove tutto sembra possibile e niente è garantito. Ci saranno vincitori e vinti. Bolle e crolli. Entusiasmo eccessivo seguito da disillusione profonda. È normale. È necessario.

Va detto che non tutti devono salire sulla montagna russa. Non tutte le aziende devono diventare aziende di AI. Non tutti i problemi si risolvono con un modello linguistico. Ma se decidi di salire, devi essere pronto allo stomaco forte. Perché il viaggio sarà turbolento, ma la destinazione — quella sì — potrebbe valere ogni scossone.


FAQ

Quando scoppierà la bolla dell’intelligenza artificiale?
Non c’è una data precisa, ma i cicli storici delle tecnologie suggeriscono che dopo 2-3 anni di hype intenso arriva una correzione. Potrebbe accadere nel 2025 o 2026, ma la tecnologia sopravviverà al crollo finanziario, esattamente come Internet dopo il 2000.

Le piccole startup di AI hanno possibilità di sopravvivere contro i giganti tech?
Sì, ma in nicchie verticali specifiche. Mentre i grandi player domineranno i modelli generalisti, emergeranno centinaia di opportunità in settori specializzati: sanità, logistica, manifattura, educazione. La chiave è trovare un problema specifico e risolverlo meglio di chiunque altro.


Fonti e approfondimenti

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