Sora 2: deepfake, copyright e il nuovo caos digitale dei diritti d’autore

Sora 2 riaccende il dibattito su deepfake e copyright: tra tutela dei diritti, nuove regole europee e libertà creativa, il confine si fa sempre più labile.

Quando OpenAI ha annunciato Sora 2, il mondo creativo ha reagito con un misto di entusiasmo e inquietudine. Da un lato, la promessa di generare video realistici a partire da un semplice prompt di testo. Dall’altro, l’ennesima collisione frontale tra tecnologia e diritto d’autore, che questa volta sembra impossibile da aggirare con una scrollata di spalle.


Un generatore di video (e problemi) su scala industriale

Sora 2 non è una curiosità da laboratorio: è un sistema capace di creare clip fotorealistiche complete di audio, luci coerenti e movimenti naturali. È, in sostanza, il passo che mancava per fondere la scrittura con la produzione audiovisiva.

Il problema è che questo strumento nasce già immerso in un mare di opere protette. Per allenare un modello di questo tipo servono miliardi di immagini, suoni e spezzoni video. E gran parte di quel materiale appartiene a qualcuno.

Da qui la scintilla: OpenAI avrebbe inizialmente adottato una politica di opt-out, cioè libertà di utilizzo fino a esplicita opposizione dei titolari. Solo dopo le proteste di editori, case di produzione e artisti è arrivata la promessa di un opt-in selettivo e controllato.

Una differenza apparentemente tecnica, ma che cambia tutto. Significa che, fino a ieri, chi non si opponeva rischiava di vedere le proprie opere rielaborate in un video generato da IA senza saperlo.


Deepfake, consenso e il fantasma dell’identità

Il lato più inquietante di Sora 2 non è tanto l’uso di immagini protette, quanto la capacità di replicare volti, voci e gesti umani con una precisione tale da confondere anche gli esperti.

La promessa di OpenAI è chiara: i volti reali possono comparire solo se la persona dà consenso esplicito. Ma questo vale nel mondo ideale. In quello reale, bastano pochi secondi di video pubblico per “insegnare” al modello un volto e generare un deepfake indistinguibile.

È un problema di reputazione, non solo di legge. Un attore, un politico, o anche un professionista qualsiasi potrebbe trovarsi in una scena che non ha mai recitato. E una volta che il video circola, il danno è irreversibile.

Il watermark digitale previsto da OpenAI è una toppa utile ma debole: esistono già programmi in grado di eliminarlo in pochi secondi.


L’Europa e la corsa (a ostacoli) per normare l’intelligenza artificiale

L’Unione Europea ha approvato nel 2025 l’AI Act, la prima normativa organica sull’intelligenza artificiale.

Nel testo si parla esplicitamente di “obbligo di trasparenza” e di “identificazione chiara dei contenuti sintetici”. In altre parole, un video generato da un modello come Sora 2 dovrà dichiararlo apertamente.

Ma la norma lascia ancora zone grigie. Il concetto di fair use anglosassone — che consente un uso limitato di opere protette a fini creativi o didattici — non ha un corrispettivo uniforme nel diritto europeo.

Un mashup ironico potrebbe essere considerato libera creazione in Inghilterra e violazione piena in Italia.

Questo rende quasi impossibile per un artista o un’impresa sapere in anticipo se sta rischiando una causa.

E il risultato è un mercato dove chi ha più risorse legali può spingersi oltre, mentre chi non può permettersi un avvocato si autocensura.


Le imprese creative e il rischio di una “usucapione digitale”

Nel caos dell’IA generativa, si sta affermando una forma perversa di normalità: l’uso silenzioso.

Molti titolari di diritti — piccoli editori, fotografi, freelance — non reagiscono agli abusi perché non hanno tempo o strumenti per farlo.

Il risultato è una usucapione digitale di fatto: se nessuno reclama, il contenuto diventa “libero” agli occhi delle piattaforme.

Un fenomeno già visibile con la musica: sample, remix e cover AI-generated vengono caricati in rete ogni giorno, monetizzati da soggetti terzi e difficili da rintracciare.


Tra business e diritto: chi paga davvero il prezzo

Il nodo centrale non è più tecnico ma economico.

Chi guadagna dalla generazione di contenuti basati su opere altrui? Chi risponde dei danni di immagine causati da un deepfake virale?

OpenAI ha ipotizzato futuri modelli di revenue sharing, ma la complessità di calcolo (quanta parte di un video deriva da un’opera originale, in che misura è riconoscibile, come si quantifica il danno) rende il meccanismo poco più che teorico.

Nel frattempo, la monetizzazione è reale: milioni di visualizzazioni su YouTube, campagne pubblicitarie “creative” e clip che sfruttano brand noti come traino.

Il mercato corre, la legge arranca.


Possibili correttivi: idee pragmatiche, non utopie

  1. Etichettatura obbligatoria e visibile: ogni video IA dovrebbe contenere una dicitura indelebile “Generato con IA”.
  2. Registro pubblico dei contenuti protetti: un database europeo dove i titolari di diritti possano dichiarare quali opere sono escluse dall’uso nei dataset.
  3. Forensic integrato nei modelli: firme digitali non rimovibili nei pattern visivi, non solo watermark.
  4. Responsabilità condivisa: introdurre un principio simile al “co-producer liability” nel cinema, che obblighi la piattaforma a rispondere insieme all’utente in caso di violazione.
  5. Educazione digitale: far capire agli utenti che un deepfake non è satira innocua, ma un atto che può distruggere reputazioni.

Il diritto d’autore non è un ostacolo, è una bussola

Sora 2 è un prodigio tecnologico, ma anche un test di civiltà.

Ogni volta che un algoritmo copia, mescola e ricrea, ci ricorda che la creatività non nasce nel vuoto: si nutre di ciò che altri hanno già fatto.

Difendere quel legame non significa frenare l’innovazione, ma darle una direzione.

E se l’IA ha davvero imparato a creare, allora deve anche imparare a rispettare.


Faq

Posso usare Sora 2 per creare video con brand o personaggi noti?

Solo con autorizzazione esplicita dei titolari. In Europa, anche un uso “ironico” o “artistico” può essere considerato violazione.

Cosa rischio se pubblico un deepfake realistico senza consenso?

Da sanzioni amministrative a responsabilità civile e penale, a seconda della gravità e della diffusione. La giurisprudenza italiana considera il danno d’immagine un risarcimento autonomo.


Fonti e approfondimenti

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